venerdì 19 ottobre 2012

LA STORIA DELLA MIA VITA



Che strano riscoprire a quarant'anni una cosa che da bambini si sa con certezza e cioè che tutto ciò che si chiama arriva. Questa cosa da bambini non procura più di tanti problemi, perché si chiamano cose innocue, dolci, giochi, persone amate. Ma diventati adulti essendo generalmente malati e marci, si chiamano cose malate e marce. La vita ci mette continuamente alla prova cercando di farci capire che è ancora tutto come prima, ancora è possibile chiamare a noi il bello, ma siamo troppo affezionati al nostro malessere, non possiamo abbandonarlo, ci sembra impossibile perché senza dolore cadiamo nel vuoto, non ci sentiamo più, ma forse è proprio quello che bisogna arrivare a conquistare il non esserci più.

Mia sorella aveva cominciato l'università a Firenze, faceva architettura. In realtà a mia sorella non interessava minimamente l'architettura, era stata spinta da mio padre, che era fissato con l'idea che avere una laurea in architettura le avrebbe assicurato un futuro brillante.
Ma mia sorella è un'attrice, la è sempre stata, è nata attrice, è nata per recitare, per raccontare, per costruire storie bellissime e per raccontarle così bene da farti vedere le parole trasformarsi in immagini. Il suo corpo è il corpo di un'attrice, la sua voce è potente e quando la usa veramente può far tremare, può far piangere o ridere a crepapelle.
Così a Firenze oltre a frequentare architettura cominciò a frequentare dei corsi di teatro, in questo modo conciliava il desiderio di mio padre con la sua vera natura.
Tornava a casa tutti i fine settimana, ci vedevamo meno, ma entrambe stavamo finalmente vivendo la nostra vita, ci sentivamo spesso al telefono e ogni tanto andavo a trovarla a Firenze.

3 commenti:

  1. Cara Simona,

    il procedere del racconto della tua storia è come la scoperta di una costellazione, con le sue stelle luminose che man mano ne compongono il disegno.
    Una stella luminosissima è ad esempio la musica, la tua arte e quella di tua sorella, altre sono persone che hai incontrato, o episodi della tua vita familiare…questa non è solo una immagine poetica, tu hai davvero questa costellazione dentro di te ed è anche in virtù di essa che esisti e sei come sei.
    Hai ragione però a dire che a volte ci attacchiamo al dolore, al malessere, perché senza di esso ci sarebbe il vuoto.
    Questa è una malattia dell’anima che non guarisce se continuiamo ad avere col dolore un rapporto così, come quello del prigioniero che si attacca al suo carceriere perché gli porta i pasti e da vita alle sue giornate.
    Credo che il dolore serva ad imparare. Non sto facendo un discorso moralistico.
    L’essere umano è fatto proprio così. Impara dalle difficoltà, dai contrasti, dal dolore e dalla perdita.
    E non si impara mai una volta per tutte, spesso si ricade in schemi che ci hanno già fatto male altre volte, poi nella mente si fa luce e capiamo.
    Penso che “non esserci più” non sia una conquista, ma una tentazione, la tentazione di annullarci.
    Sarebbe come spegnere una stella. Se una situazione ci fa male, tra l’annullamento e la malattia dell’anima c’è ancora un’altra via, che è provare a risanarla, con semplicità.
    Direttamente o tramite mediazioni, le mediazioni si fanno nel nostro cuore.
    Noi esistiamo per la nostra essenza, il nostro vero essere, quello che è sempre lì da quando siamo nati. Se riesci ad ascoltarlo, il tuo o quello di altre persone, sentirai che fa una musica meravigliosa.
    La stessa del cosmo, e di tutti i piccoli esseri viventi che zampettano nuotano o volano intorno a noi.

    Riguardo alla regola che ciò che si chiama arriva, è vero…e la cosa è complicata dal fatto che noi umani siamo strutturati in modo complesso e quindi magari crediamo di chiamare una cosa ma una parte di noi, con cui non siamo bene in contatto, prende il controllo e chiama l’esatto opposto!!

    Adesso ti saluto…ben tornati gli esserini e un mare di auguri per il ritorno.

    Ho scoperto che l’esserino che mi aspetta e che presto verrò a prendere è in realtà un’esserina, la n.60…confermi?

    A presto

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  2. Ciao miciotta, mi rendo conto che forse ho spiegato male quello che intendevo dire.
    Con "il non esserci" intendevo togliere la testa per un attimo e lasciare andare l'essere vero, quello che appunto identifica la nostra anima, che purtroppo è soffocata da mille pensieri e dolori che non la lasciano espimere, quindi per me il non esserci è proprio riuscire ad allontanare per un po' tutto questo per far uscire invece la vera essenza.

    Sì , l'esserino n° 60 è una femmina!

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  3. Sono contenta,avevo frainteso e dato alle tue riflessioni introduttive un significato nichilista che invece non avevano,anzi..
    In effetti secondo un preciso indirizzo filosofico esser-ci vuol dire proprio essere gettati qui sulla terra invischiati in preoccupazioni inautentiche.
    Anch'io spesso vado appresso a troppi pensieri, è per questo che mi farò aiutare dall'esserina n. 60......
    Ciao e grazie, con affetto
    Miciotta

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